Sette anni fa, con la sentenza n. 120/2018 della Corte Costituzionale, si è aperto un capitolo importante nella storia del mondo militare italiano: la possibilità di creare associazioni sindacali per le Forze Armate e le Forze di Polizia a ordinamento militare. Questo evento rappresenta non solo una svolta giuridica, ma anche il riflesso di un cambiamento sociale in continuo sviluppo, dove diritto e società si intrecciano in un dialogo dinamico.
Il processo di sindacalizzazione militare, seppur innovativo, si muove in un contesto complesso e mutevole. La sfida principale resta quella di adattare le norme ai principi fondamentali della Costituzione, senza trascurare le particolarità delle dinamiche sociali che coinvolgono centinaia di migliaia di lavoratori in divisa, insieme alle loro famiglie. Questi uomini e donne, con impegno quotidiano, sostengono e difendono la collettività, le Istituzioni e il funzionamento dello Stato, attraverso molteplici amministrazioni pubbliche.
Tuttavia, come ogni processo nuovo, il sindacalismo militare necessita di un percorso di consolidamento. Le giovani associazioni sindacali richiedono tempo, riflessioni e aggiustamenti per raggiungere una piena efficienza. Un’efficienza che mira non solo al miglioramento delle condizioni lavorative e salariali del personale in uniforme, ma anche al benessere delle famiglie e alla qualità delle strutture amministrative di riferimento.
In questo dibattito emerge prepotente l’articolo 39 della Costituzione, definito da molti come “l’eterno incompiuto”. Questa norma potrebbe finalmente (addirittura) trovare una piena realizzazione proprio nel settore militare, aprendo la strada a un esempio pionieristico per altre realtà giuridiche e sociali, laddove ne fosse sentita la necessità. Ma ciò richiede coraggio politico, visione istituzionale e un cambio di paradigma che vada oltre le promesse, per abbracciare soluzioni concrete.
La Guardia di Finanza (per la quale, forse non a caso, il C.O.M. spende “poche parole”), con la sua natura unica di forza di polizia economico-finanziaria (MEF) e di autorità esclusiva di Pubblica Sicurezza marittima (Interno), rappresenta un caso emblematico. Le peculiarità del Corpo richiederebbero un approccio specifico nell’applicazione e nella regolamentazione del sindacalismo, distinguendosi dalle Forze Armate propriamente dette.
Le riflessioni del segretario generale S.I.A.F., Eliseo Taverna, e del professor Lambertucci dell’Università dell’Aquila, offrono una sintesi illuminante: “si è sindacato o non si è sindacato, tertium non datur”. Questa affermazione, apparentemente semplice, racchiude il cuore pulsante del diritto, una disciplina che evolve per rispondere alle sfide di una società in continuo cambiamento.
Celebrare il passato di questo anniversario significa anche guardare al futuro. Saranno le istituzioni, la politica e la società civile a determinare se il diritto potrà davvero essere lo strumento di progresso che auspichiamo o se rischierà di rimanere un “eterno incompiuto”.
Ivan Giampetruzzi (membro della Segreteria Nazionale S.I.A.F.)
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– seguono gli estratti del contributo di pensiero offerto, a suo tempo, dal S.G. Eliseo Taverna e il commento del Prof. Lambertucci –
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La dicotomia del controllo pubblicistico degli statuti delle Organizzazioni Sindacali militari e la mancata attribuzione della personalità giuridica (di Eliseo Taverna).
L’articolo 39 della Costituzione testualmente recita:
“L’Organizzazione sindacale è libera.
Ai sindacati non può essere imposto altro obbligo se non la loro registrazione presso uffici locali o centrali, secondo le norme di legge.
È condizione per la registrazione che gli statuti dei sindacati sanciscano un ordinamento interno a base democratica.
I sindacati registrati hanno personalità giuridica. Possono, rappresentati unitariamente in proporzione dei loro iscritti, stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce”.
Come è noto agli addetti ai lavori, tale formulazione fu un compromesso storico tra esigenze di rinnovamento e riconoscimento ai lavoratori del diritto di organizzarsi in strutture libere e autonome che tutelassero i propri interessi sociali e lavorativi e, invece, altre molto più conservative, frutto di visioni restrittive e tendenti a collocare le organizzazioni sindacali in un alveo di scarsa operatività e incisività, nonché sottoporle al controllo pubblicistico tramite la registrazione.
Sia durante che dopo l’approvazione della Costituzione, si assistette a momenti di lotta in difesa del principio liberale, nella piena convinzione che cedere agli obblighi di registrazione avrebbe significato gettare le basi giuridiche per consentire alla pubblica amministrazione controlli sull’operato dei sindacati nella consapevolezza che ciò avrebbe inciso negativamente e condizionato la loro libertà e l’autonomia d’azione fino al punto da minarne l’efficienza.
Ne è conseguito, quindi, che la seconda parte dell’art. 39 della Costituzione è rimasta priva di esecuzione, proprio a seguito della forte opposizione messa in campo dalle organizzazioni sindacali confederali.
Nel 2022 con l’approvazione della legge 28 aprile 2022 n. 46 recante Norme sull’esercizio della libertà sindacale del personale delle Forze armate e delle Forze di polizia a ordinamento militare, nonché delega al Governo per il coordinamento normativo, all’articolo 4 in nome di una specificità di status e d’impiego del personale militare e paventando una non meglio esplicitata esigenza di coesione delle Forze Armate (dalle quali la G. di F. si distingue), si inseriscono nell’ordinamento nazionale, per la prima volta nel nostro Paese dopo l’approvazione della Costituzione, il principio di autorizzazione preventiva, di verifica degli statuti, di rilascio di un decreto da parte del Ministro competente e, non da ultimo, un potere di vigilanza e di sanzione da parte del Ministero di riferimento in caso di violazioni, spingendosi fino alla possibilità di revoca dell’autorizzazione ministeriale e cancellazione dall’Albo.
Pertanto, avuto riguardo ai sopra menzionati sistemi di controllo e interlocuzioni pubbliche-amministrative, sanciti dalla legge 46/22, disciplinante il funzionamento delle Organizzazioni Sindacali Militari, che si spingono persino a contemplare la “revoca” dell’iscrizione al predetto Albo (sostanzialmente non vi è differenza con un “registro”), corre l’obbligo di richiamare l’art. 39 della Costituzione affinché ne venga, a questo punto, finalmente data attuazione completa e incondizionata.
Conseguentemente, a parere dello scrivente, le OO.SS. militari registrate, avendo superato abbondantemente le verifiche di cui al comma 3 dell’art. 39 della Costituzione (per cui vi è stata l’iscrizione all’Albo), in ossequio alle disposizioni di cui alla D.P.R. 361/2000 e agli articoli da 14 a 35 del codice civile sono pienamente legittimate a essere destinatarie dell’attribuzione della personalità giuridica, con tutto ciò che ne consegue anche in termini di assunzioni di impegni economici, di capacità di contrarre obbligazioni e, non da ultimo, di responsabilità patrimoniale limitata alle quote sociali da parte degli amministratori.
Allo stesso proposito, è appena il caso di verificare se l’obbligo di registrazione, i controlli pubblicistici dell’operato dei sindacati (preventivi e in corso di attività) e la possibilità di cancellazione dall’Albo, in presenza di violazioni, così come previsto dall’art. 4 della Legge 46/22, sono a questo punto coerenti e rispettosi dei dettami di cui agli artt. 3 e 4 della Convenzione OIL n. 87, ove è sancito, rispettivamente, che “le organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro hanno il diritto di elaborare i propri statuti e regolamenti amministrativi, di eleggere liberamente i propri rappresentanti, di organizzare la propria gestione e la propria attività, e di formulare il proprio programma di azione. Le autorità pubbliche devono astenersi da ogni intervento tale da limitare questo diritto o da ostacolarne l’esercizio legale” (art. 3 C87 OIL) e “Le organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro non sono soggette a scioglimento o a sospensione per via amministrativa” (art. 4 C87 OIL).
Analoga valutazione andrà fatta dalla Corte Costituzionale in relazione agli artt. 5 (diritti sindacali) e 6 (diritto di negoziazione collettiva) della Carta Sociale Europea, dove si stabilisce che “Per garantire o promuovere la libertà dei lavoratori e dei datori di lavoro di costituire organizzazioni locali, nazionali o internazionali per la protezione dei loro interessi economici e sociali ed aderire a queste organizzazioni, le Parti s’impegnano affinché la legislazione nazionale non pregiudichi questa libertà né sia applicata in modo da pregiudicarla. La misura in cui le garanzie previste nel presente articolo si applicheranno alla polizia sarà determinata dalla legislazione o dalla regolamentazione nazionale […]” (art. 5 C.S.E.).
Con ogni probabilità, il Giudice delle leggi sarà chiamato a vagliare la L. 46/2022 e l’operato delle PP.AA. in rapporto a norme interne e di matrice europea, costituenti anch’esse i capisaldi del sindacalismo, prime fra tutte quelle contenute nella Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (C.E.D.U.) agli artt. 11 (libertà di riunione e di associazione), 14 (divieto di discriminazione), 15 (deroga in caso di stato di urgenza), 17 (divieto di abuso di diritto) e 53 (salvaguardia dei diritti dell’uomo riconosciuti), nonché all’accluso Protocollo n. 12 alla C.E.D.U., in ossequio agli artt. 2, 3, 10, 18, 39 e 117 Cost. e, trasversalmente, in funzione e virtù dei principi di ragionevolezza e proporzionalità che rappresentano i criteri di sindacato sulla costituzionalità delle leggi e sulla legittimità delle procedure amministrative in genere, assurgendo a strumenti fondamentali nel perseguimento dell’interesse generale.
Nelle more, quindi, che venga posto un serio e concreto rimedio alle numerose restrizioni e distonie attualmente contenute nella normativa vigente, in via legislativa o giudiziaria (nazionale e/o europea), bisogna avviare un dibattito qualificato e assumere iniziative affinché si proceda a dare, finalmente, la piena e incondizionata attuazione dell’art. 39 Cost., comma 4, attribuendo la personalità giuridica alle Organizzazioni Sindacali Militari, essendo già assoggettate a verifiche e controlli di natura pubblicistica (preventivi e in corso di attività), avendone i requisiti prescritti dal medesimo articolo, correlato e richiamato all’art. 1, co. 2, legge. 46/2022.
Eliseo Taverna
Commento, circa la compatibilità con l’art. 39 della Costituzione, all’articolo redatto dall’amico Eliseo Taverna “La dicotomia del controllo pubblicistico degli statuti delle Organizzazioni Sindacali militari e la mancata attribuzione della personalità giuridica.
L’art. 39 della Costituzione, nella parte in cui prefigura una procedura di registrazione sindacale (peraltro funzionalizzata a realizzare quell’efficacia erga omnes della contrattazione collettiva nazionale venuta meno con il superamento del periodo corporativo), deve essere interpretato in “coerenza” con il nuovo scenario costituzionale, fondato sui principi di libertà sindacale, che certo non intendeva ripristinare il “controllo” dello Stato sulle associazioni sindacali (come era avvenuto nel ventennio fascista).
Infatti la dottrina degli anni cinquanta del secolo scorso aveva avvertito che l’eventuale registrazione sindacale avrebbe comportato, per le associazioni sindacale “registrate”, l’acquisizione della personalità giuridica di diritto privato e, comunque, l’unico controllo, consentito allo Stato, doveva focalizzarsi sulla predisposizione, da parte del sindacato, di uno “statuto a base democratica”. In altre parole il sindacato doveva garantire una disciplina statutaria di “garanzia” – perlomeno procedurale – delle minoranze dissenzienti. Se il progetto costituzionale fosse allora andato in porto, si sarebbe trattato comunque di un controllo di mera legittimità (e non di merito), diretto a realizzare quella tutela – economica e normativa- estesa a tutte le categorie professioni (ora contrattuali).
L’attuazione dell’art. 39 della Costituzione, che ora viene realizzata con la legge n. 46 del 2022, solo per le associazioni sindacali dei corpi militari, costituisce, innanzitutto, un “unicum” nel panorama delle nostre relazioni industriali e, in ogni caso, si deve muovere all’interno del delineato programma costituzionale. Allora le associazioni sindacali acquisiscono sicuramente la personalità giuridica di diritto privato e il puntuale “controllo ministeriale”, se può essere consentito in ordine alla “trasparenza” sui sistemi di finanziamento (art. 7 della legge), appare del tutto ultroneo con riferimento alla durata e alla turnazione delle cariche direttive sindacali (art. 8 della legge).
In queste ultime ipotesi viene a realizzarsi un controllo inutilmente invasivo della disciplina statutaria del sindacato, che ne mina l’”autonomia”, senza che si realizzi un pregiudizio alle regole dell’ordinamento militare, la cui protezione si colloca su altri versanti declinati dalla legge del 2022.
A questo punto, molti dubbi, di “coerenza” con il progetto costituzionale, possono essere avanzati con riferimento ad alcune indicazioni contenute nella legge, la quale richiede, negli statuti sindacali “l’assenza di finalità contrarie ai doveri derivanti dal giuramento prestato dai militari” (art. 2, lett. c), nonché il “rispetto degli altri requisiti previsti dalla presente legge” (art. 2, lett. e). Non si può, infatti, scivolare su un penetrante controllo di merito interdetto dal disegno costituzionale.
Pietro Lambertucci
Ordinario di diritto del lavoro – Università di L’Aquila.