La sicurezza degli operatori di Polizia è un tema che sta guadagnando tanto negli ultimi anni, soprattutto in relazione ai rischi e alle sfide che gli agenti devono affrontare quotidianamente durante il servizio. Gli operatori di Polizia, sia di Stato che locali, sono quotidianamente coinvolti in situazioni ad alto rischio. Non è possibile continuare a tacere o ad esternare il concetto sotto forma di protesta o contestazione limitata nel tempo, per quel tempo necessario che le luci dei riflettori si abbassano sulla vicenda ed il malcapitato si ritroverà solo, in balia di un destino che sarà deciso unicamente da valutazioni basate su fogli di carta e dati che, seppur con una base di oggettività, mancano dell’elemento principale della vicenda: il fattore emotivo, psicologico, temporale, la presenza fisica sul luogo di consumazione dei fatti nello spazio e nel tempo. È piuttosto chiaro che l’operatore di polizia sia chiamato, in taluni casi, all’esercizio della forza nel limitare il diritto del cittadino finanche all’ultima ipotesi dell’utilizzo dell’arma nell’esercizio legittimo e per legittima difesa come previsto dallo stesso Codice Penale. Sin qui sembra sia tutto chiaro: il Codice prevede la fattispecie, la disciplina. La realtà dei fatti però è tutt’altra perché ogni qualvolta un collega si trova nella situazione di aver usato l’arma per impedire il tentativo, la consumazione o la prosecuzione di un delitto, si vede automaticamente indagato. “Atti dovuti” sentiamo sempre dire. Nella maggior parte dei casi l’ipotesi di reato è “eccesso colposo di legittima difesa”. C’è un morto, va aperta un’indagine e l’operatore di Polizia va indagato, anche a sua garanzia, come si dice, così si può difendere. Ma difendere da cosa? Se non lo accusi non c’è bisogno di indagarlo per permettere di difendersi. Fatto sta che nella migliore delle ipotesi il collega sarà indagato per un anno (termini delle indagini come da riforma Cartabia) per poi vedere archiviato il procedimento e iniziare il proprio calvario psicologico. Nella peggiore delle ipotesi verrà rinviato a giudizio, processato e se ritenuto innocente inizierà a quel punto il suo calvario perché l’iter dell’atto dovuto porta con sé tutta una lunga serie di procedimenti pregiudizievoli nei confronti dell’operatore di Polizia che va dall’iniziale gogna mediatica fino al blocco automatico della progressione nel grado rivestito inibendo persino l’accesso a concorsi per la progressione di carriera. Un aspetto centrale della sicurezza degli agenti riguarda la protezione fisica durante gli interventi. Nonostante l’evoluzione della formazione e degli equipaggiamenti, gli operatori sono spesso esposti a situazioni imprevedibili, dove la violenza può scatenarsi improvvisamente. Il rischio di essere feriti o addirittura di morte in servizio rimane un problema. Oltre al rischio fisico, gli operatori di Polizia devono fronteggiare anche un elevato stress psicologico legato al loro lavoro. L’esposizione quotidiana alla violenza, alle situazioni di emergenza e alla gestione di eventi traumatici può avere effetti devastanti sul benessere mentale degli agenti. Un altro fattore di preoccupazione è l’inadeguatezza delle strutture e delle risorse disponibili per supportare gli agenti sul campo. Spesso le forze di Polizia operano con carenze di organico, di equipaggiamenti moderni in contesti di grande complessità sociale e criminale. Sul piano legislativo è stato fatto qualche passo in avanti con provvedimenti che mirano a garantire una maggiore tutela legale per gli agenti in caso di aggressioni, ma la loro applicazione concreta risulta spesso lenta e poco efficace. Ancor più vi è da dire che la tutela legale non è fornita dall’amministrazione così che l’operatore di Polizia indagato per fatti di servizio è obbligato a difendersi a proprie spese. Pare evidente pertanto come ormai i continui fatti di cronaca che hanno visto i colleghi indagati per fatti compiuti nello svolgimento dei compiti istituzionali e per i quali erano stati comandati aprano lo scenario alla necessita di cambiamento e revisione con la necessità di:
- introdurre un protocollo operativo che esplichi in maniera inequivocabile le modalità di utilizzo delle armi così come anche tutti gli strumenti di costrizione fisica in uso agli operatori;
- continua e costante formazione nell’utilizzo degli strumenti di servizio nonché l’implementazione di tali dotazioni a tutti gli operatori che svolgono servizi su strada;
- una modifica del codice di procedura penale con l’introduzione di una specifica forma di archiviazione quando le condotte dell’operatore sono chiaramente rientranti nelle fattispecie previste dalle norme di comportamento di cui al succitato protocollo operativo;
- inasprire le pene previste dall’art. 341 bis del Codice Penale per garantire l’autorevolezza degli operatori di Polizia quali rappresentanti dello Stato;
- una rapida risoluzione dell’iter burocratico per il riconoscimento dello stato di infermità dipendente da causa di servizio per tutti coloro che hanno riportato ferite o lesioni perché non sia a totale carico loro l’accollo delle spese sanitarie sin da subito.
In sintesi, la situazione della sicurezza degli operatori di Polizia in Italia è complessa e multidimensionale. Nonostante gli sforzi per migliorare le condizioni di lavoro e la protezione degli agenti, restano numerose sfide legate alla gestione dei rischi fisici e psicologici, alla carenza di risorse e alla crescente pressione sulle forze di Polizia. È fondamentale dunque un continuo e costante impegno per garantire una sicurezza adeguata e un supporto completo agli operatori, affinché possano svolgere il loro lavoro in modo efficace e protetto.
Giuseppe Usai
Vice Segretario regionale Lazio