Sono passati più di quindici anni da quel lontano 29 aprile 2007 che mi vide da giovane delegato COCER al primo mandato, mentre mi cimentavo con colleghi di un Consiglio Centrale di Rappresentanza così prestigioso, in un ambiente di “baroni intoccabili” e certamente con tanta esperienza, che sembravano battersi ogni giorno per il personale, rilasciare un’intervista a Canale Cinque, in occasione di una trasmissione domenicale condotta da Barbara Palombelli. Forse si battevano davvero con convinzione, ma certamente a modo loro, con la consapevolezza di chi deve mediare per ottenere e con la certezza di non poter o dover mai superare quell’asticella che il sistema di una rappresentanza interna aveva loro, in qualche modo, necessariamente imposto.
I limiti di un sistema di rappresentanza degli interessi del personale interno e essenzialmente diverso dalle organizzazioni sindacali vere e proprie, esterne alle Amministrazioni, autonome e dotate di quelle competenze e poteri non certo casualmente, rendevano tutto democraticamente normale.
Eppure, complice la profonda voglia di cambiamento, una forte spinta motivazionale e, non da ultimo, un sentimento di rivalsa che aleggiava verso un Corpo con un sistema gerarchico ancora troppo rigido in quegli anni, ebbi la forza di rivendicare pubblicamente, in televisione, l’esigenza della sindacalizzazione della Guardia di Finanza.
Furono gli anni dei tentativi paventati, ma mai attuati seriamente con convinzione, che guardavano nuovamente, dopo i movimenti nati tra il 76 e il 78, alla smilitarizzazione del Corpo, con la quale tanti si riempivano la bocca in ogni utile occasione, salvo poi mai attuare eventuali iniziative concrete e poi l’esigenza (non certamente sentita dai vertici delle Amministrazioni di Polizia ad ordinamento militare) di percorrere la separazione del comparto sicurezza da quello della difesa. Due mondi radicalmente diversi e troppo distanti per poter coesistere in un unico contenitore.
Un’esigenza decantata anche dalla maggior parte del personale, che la rivendicava sottovoce nei corridoi, troppo spesso come anticorpo verso storture e disuguaglianze alle quali assisteva, ma mai affrontata con convinzione, forse nella certezza che tutto sommato, al netto della distonia che vedeva un Corpo di Polizia Economico-Finanziaria indossare le stellette ed essere assoggettato ad un codice penale militare e a regolamenti militari, non stava operando poi così male e il suo personale, una volta conquistati di riflesso molti diritti negli anni ottanta, a seguito della riforma e della smilitarizzazione della Polizia di Stato, non aveva altre aspettative credibili da rivendicare.
Seguì il caso Visco-Speciale, a seguito della decisione di trasferire con immediatezza alcuni ufficiali del Corpo impegnati a Milano su alcune indagini importanti, che portò, per la prima volta nella storia, ad uno scontro istituzionale pubblico senza precedenti, tra un Comandante Generale della Guardia di Finanza e il vertice politico del Ministero dell’Economia e delle Finanze che, a quella data deteneva, da Vice Ministro, la delega per i rapporti con il Corpo. Successivamente, il conseguente avvicendamento dello stesso Comandante Generale Roberto Speciale con il Generale D’Arrigo.
E poi lo scandalo della P4, nel quale furono chiamati in causa, oltre a dirigenti della Pubblica Amministrazione, politici, appartenenti ai servizi segreti, magistrati, anche eminenti dirigenti del Corpo, finito molto presto in una grande bolla di sapone.
Seguirono le lotte interne per le future nomine dei comandanti generali che, inevitabilmente, videro falsare anche prassi e consuetudini dei percorsi di carriera, generando malcontenti e delusioni . Anche la nomina del Comandante Generale proveniente dalle file del Corpo e non più dell’Esercito, anziché costituire un punto di svolta si rivelò un mero successo di facciata, che finì per soddisfare solo le ambizioni dei generali che da quel momento si sentirono tra le liste dei papabili ma che nella pratica non portò alcun beneficio al personale e forse nemmeno al Corpo stesso, fino al punto da far rimpiangere talvolta quella scelta innovativa.
Ne seguì, forse per il timore che a qualche politico venisse in mente di riparlare con forza della smilitarizzazione o di rimettere in discussione la nomina del comandante generale interno, un riavvicinamento ingiustificato alle forze armate, rispolverando concetti e visioni che ormai sembravano superate e non più appartenenti ad una moderna Polizia Economico-Finanziaria proiettata verso le nuove tecnologie e con lo sguardo rivolto a nuove tecniche d’indagine.
Oggi la Gdf é un Corpo solido, ma con tante questioni irrisolte e nodi ancora da sciogliere e chi come me e prima di me si é battuto per un Corpo rinnovato con sistemi di bilanciamento democratico al suo interno, ovvero le Organizzazioni sindacali, sa di aver fatto tanto per arrivare a questo punto di svolta.
Ora tocca al personale, il quale dovrà capire che é estremamente importante non vanificare quello che é stato fatto in questi anni e che risulta vitale iscriversi al sindacato e alimentarlo per puntare ad un futuro migliore.
L’attuale Comandante Generale ha le qualità professionali e umane per poter guidare con serenità e al meglio questo processo epocale di cambiamento e mettendo in atto anche processi di autorinnovamento dell’Amministrazione, tuttavia dovrà farlo senza retro pensieri e senza paure altrimenti il futuro sarà ancora più incerto del passato.
*Legale Rappresentante SIAF. Impegnato da più di vent’anni nella tutela del personale e nella rivendicazione della libertà sindacale per la Guardia di Finanza e per i Corpi Militari